SEVERINO BOEZIO A VILLAREGGIO: Storia o leggenda?
Uno dei ritrovamenti più sensazionali, soprattutto per le complesse problematiche che esso suscita, è rappresentato da una grande lastra tombale di marmo cipollino della Val di Susa, rinvenuta nella seconda metà dell'Ottocento a Villareggio dove, capovolta, era stata riutilizzata per la pavimentazione di un cascinale.
La lastra, attualmente conservata presso i Musei Civici di Pavia, è contornata da una elegante fascia decorativa a motivi stilizzati, mentre nella campitura centrale si leggono le lettere B M., interpretate da alcuni come “Bonae Memoriae”, e da altri come “Bene Merenti”. (Sono tipiche espressioni latine ricordate nelle catacombe cristiane con le iniziali BM)
Entro una decorazione sottostante è inciso un complesso monogramma che, opportunamente sciolto, si legge “Senatoris” o “Senatori”.
Con qualche autorevole eccezione, gli studiosi che si sono sin qui occupati della lastra hanno recepito la tesi che tende ad accreditarla come sigillo tombale di Senatore, un personaggio che nel 714 avrebbe fondato l'omonimo monastero tuttora esistente a Pavia.
Per quanto suggestiva, non si è in grado di dimostrare come e perchè sia realmente avvenuta una improbabile traslazione della lastra dal monastero pavese alla pace di Villareggio.
Non è dubbio che la lastra di Villareggio sia il raffinato prodotto di un'officina memore della tradizione tardoantica, quale ancora poteva sussistere nei primi decenni della dominazione ostrogota in Italia. ( inizio VI Secolo)
Esclusa quindi la provenienza pavese della lastra, è assai verosimile che sin dall’origine essa fosse collocata a Villareggio, dove fu utilizzata come sigillo tombale di un Senatore, da intendersi non più come nome proprio di persona, ma come trasparente allusione al rango sociale di un personaggio di spicco del Senato di Roma.
Probabilmente, un personaggio vissuto durante il regno di Teodorico e del quale, al momento dell'inumazione, non era opportuno rivelare apertamente la vera identità, se non in quella forma criptica e allusiva suggerita dal monogramma.
È altrettanto verosimile che il nome della località in cui avvenne il ritrovamento della lastra faccia pensare all’esistenza in loco di una “villa regia”, forse una residenza di caccia di Teodorico, analoga a quella eretta dal sovrano ostrogoto a Calcata presso Forlì.
A rendere possibile tale ipotesi concorre la circostanza che la Chiesa di Villareggio, significativamente dedicata al Battista, conserva tuttora, assieme a importanti vestigia del periodo romanico, una insolita struttura battesimale che si appoggia al fianco meridionale.
Nel tardo medioevo la cappella di Villareggio era inserita nella circoscrizione territoriale della pieve di S. Genesio, ma la sua caratteristica di chiesa battesimale potrebbe risalire molto più addietro nel tempo, addirittura al sec. VI. quando la primitiva organizzazione pievana non si era ancora sviluppata nelle nostre campagne.
È noto del resto che nell'alto medioevo non sono rari i casi di chiese, anche battesimali, di proprietà privata, inserite nel contesto di una villa o di una “curtis”.
Fatte tutte le dovute premesse, veniamo all’ipotesi iniziale.
La presenza di un'aulica sepoltura "in agro Calventiano", come facilmente poteva denominarsi tutta la regione percorsa dai due rami della Calvenza, apre nuove prospettive sulla discussa teoria riguardante il luogo di detenzione e di esecuzione capitale di Severino Boezio.
Una questione che ha affaticato le menti di tanti storici e che trova conforto in una più acuta interpretazione del racconto nella seconda parte dell'Anonimo Valesiano circa le vicende ultime di Boezio.
Secondo la scarna narrazione dell'Anonimo, verso il 523 il Senatore Albino e Boezio stesso, che generosamente aveva assunto la sua difesa, caddero entrambi in disgrazia di Teodorico, sotto l'accusa di segreti accordi con l'imperatore d'Oriente Giustino.
Arrestati per ordine del re, e tradotti a Pavia in attesa di giudizio, i due imputati furono "ducti in custodiam ad baptisterium ecclesiae". (imprigionati in un battistero o chiesa battesimale)
Il carcere dei due eminenti uomini di stato viene correttamente identificato con il battistero episcopale dell'antica cattedrale pavese, e la custodia dei due senatori all'interno di un frequentato luogo di culto favorisce l'idea di un provvedimento di carattere eccezionale e transitorio.
L'edificio prescelto, infatti, agli inizi del VI sec. era ancora un punto di riferimento obbligato per i battezzandi della comunità cattolica locale.
Le esigenze cultuali, quindi, erano del tutto incompatibili con una lunga detenzione dei due imputati.
Tanto è vero che, secondo la cronologia fissata dall'antico calendario liturgico pavese, la sentenza di morte contro Boezio sarà eseguita soltanto un anno dopo, il 23 ottobre del 524.
Forse hanno ragione gli storici, quando individuano due distinte fasi e due luoghi diversi per la detenzione di Boezio: uno, provvisorio, nel battistero della cattedrale, assieme al senatore Albino; l'altro, defintivo, nella campagna pavese, senza la consolante presenza del compagno.
Da quel momento, la sorte dei due senatori si divarica: nella solitudine dell'agro Calvenzano, in attesa della ormai scontata sentenza di morte, Boezio si dedica alla stesura definitiva della Consolatione Philosophiae; del secondo, che pure era il principale indiziato nel processo, non si sa più nulla, come se fosse stato inghiottito dalla storia.
Alla seconda fase della prigionia di Boezio si riferisce ancora l'Anonimo Valesiano.
Secondo il suo racconto, nell'autunno del 524 Teodorico ordinò al prefetto di Roma di eseguire la sentenza di morte nei confronti di Boezio, allora detenuto "in agro Calventiano, ubi in custodia habebatur".
Ciò sembra accordarsi con quanto afferma Boezio stesso nel suo importante libro, quando, riferendosi al luogo della prigionia, lamenta l'assenza di una biblioteca insieme alla totale solitudine del luogo.
Praticamente una villa di proprietà regia immersa nella campagna a settentrione di Pavia, sia pure a un miglio di distanza dall'antica strada Medìolanum-Ticinum.
Nella concitazione del momento che seguì la spietata esecuzione, accompagnata a quanto pare da atroci torture, i poveri resti di Boezio furono probabilmente inumati sul luogo stesso del martirio dalla pietà dei congiunti, forse la moglie Rusticiana o il figlio Flavio Simmaco.
Non è dunque inverosimile che il primitivo sepolcro fosse contraddistinto da una lastra tombale sulla quale fu inciso un semplice monogramma che richiamava, a chi era in grado di intendere, la dignità senatoria del personaggio.
Vivente Teodorico, non sarebbe stato possibile fare di più per onorare, in forma esplicita e diretta, la memoria del "romano senatore".
Ma ben presto, le sue martoriate spoglie troveranno pace definitiva nella gloria nella Cripta di San Pietro in Ciel d'Oro. (foto a lato)
Da : Borgarello - XX Secoli di storia di Fagnani, Farao, Curti