NAVIGAZIONE FIUME TICINO Tratto da: nota di Maurizio Scorbati
La storia della nostra navigazione fluviale si imperniava sulle associazioni dei barcaioli esercenti il trasporto delle persone e delle merci, che funzionavano secondo rigide disposizioni stabilite dallo Stato, quasi come organi dello Stato stesso.
All'organizzazione dei barcaioli faceva riscontro un complicato sistema portuario a Pavia fino al Lago Maggiore, nel quale sistema giocavano diritti, concessioni, privilegi, esigenze fiscali.
Il carattere pubblico dell'Arte dei navigatori durò fino al secolo XII, cioè fino al periodo in cui la fortuna politica di Pavia sussiste: quindi l'arte si affiancò alle altre corporazioni comunali a parità di importanza e di diritti. Gli statuti che abbiamo di questa arte, risultano da una copia cartacea esistente nel nostro Museo Civico.
Le norme statutarie relative alla navigazione vietavano anzitutto i viaggi notturni. Si eliminava così il pericolo di trasporti clandestini e fraudolenti. La sola eccezione su questa regola, era stabilita a favore dei romei o pellegrini che potevano essere imbarcati anche di notte per accellerare i tempi dei loro pellegrinaggi.
L'inizio della navigazione era dato dalla campana del mattutino delle chiese di San Giovanni in Borgo, di San Marco e di San Teodoro, che potevano essere ben udite dai tre scali più usati del fiume, e cioè Porta Remondarolo, poco più in là dell'attuale Borromeo dove era l'approdo per i naviganti diretti a valle del fiume, Porta Calcinara per le linee dirette al Lago Maggiore e Porta del Ponte da dove si andava in ogni direzione.
A richiesta del potestà i barcaroli dovevano portarsi tutti con lui, e dare, occorrendo, aiuto e forza per le imprese di utilità della navigazione e per la difesa dell'Arte. Una disposizione dello Statuto, della quale non si comprende la portata è quella che vietava alle navi di portare l'albero della nave alzato, dalle prime alle ultime case di Pavia.
Il barcaiolo pavese giungeva sino ai porti dell'Adriatico, l'anticamera dell'Oriente ed ivi aveva dimestichezza con i Veneziani, coi levantini, coi saraceni e la mercé più povera che riportava ai porti del Ticino era il buon sale di Comacchio che valeva come moneta, ma spesso aveva un prezioso carico di pepe, di zenzero, di legni rari e profumati, di stoffe rutilanti che venivano da Bisanzio, dall'Armenia e dall'Egitto.
Il patrono celeste dei navigatori e dei barcaioli era San Teodoro, venerato nella sua bella chiesa, la cui leggiadra cupoletta si affaccia sulle acque del nostro fiume.
Vi è un santo più pavese di Teodoro e un mestiere più pavese del barcaiolo?
E
vi era a Pavia un'arte più nobile di quella della navigazione?
Il Ticino Dal sito Comune di Pavia - - |
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