Attività Rurali

COLTIVAZIONE  DEL  RISO                       Tratto da: "Le terre del riso" di Mariateresa Truncellito
 

 

Pavia e dintorni - Attività Rurali - Coltivazioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con i suoi 85 mila ettari di risaie, Pavia è la capitale del riso, la provincia con la maggior percentuale di queste coltivazioni in Italia. Il paesaggio, piatto, è attraversato da una intricata rete di canali, punteggiata da grandi cascine in mattoni a vista e da castelli nobiliari. In primavera, con l’allagamento delle risaie, la pianura si trasforma in un grande lago iridescente.

Attraversata dal Po, dal basso corso del Ticino il paesaggio è stato interamente modellato dall’uomo: terra di risorgive, nel medioevo era un’impraticabile palude.

Il riso era arrivato nel bacino del Mediterraneo con gli Arabi, nel IV secolo a. C. Nel Quattrocento, aveva fatto la sua comparsa nel regno di Napoli e poi in Lombardia e Piemonte, con le truppe spagnole di Federico d’Aragona.

Gli Sforza trasformarono i terreni acquitrinosi in uno straordinario laboratorio naturale dove fare esperimenti agricoli all’avanguardia per l’epoca: il marchese di Mantova regalò al cugino Ludovico il Moro alcuni sacchi di riso pregiato, proveniente dall’Oriente. E iniziò in tal modo lo sviluppo della coltivazione del riso.

A dispetto di grida e proclami che proibivano l’esportazione del riso fuori dal ducato di Milano, in pochi decenni la risicoltura si estende, oltre che nel contado di Pavia, in quelli di Mantova, Cremona, Brescia, Novara, Vercelli, Saluzzo, Bologna, Ravenna, Padova, Treviso, nel Polesine e in Toscana.

Un prodigioso sviluppo che subisce una battuta d’arresto verso la metà del Cinquecento: a causa della malaria, collegata alla presenza delle risaie, che esalano “miasmi” infettivi.

Nel 1584 il Collegio dei medici di Novara suggerisce di permettere che «le acque decorrino liberamente, né in alcun modo si fermino e si impaludino», risolvendo in parte il problema.

La scoperta dell’agente che provocava la malaria, la zanzara anofele, favorì la possibilità di una difesa attiva che portò, in breve, alla scomparsa della malattia.

L’alta specializzazione nella risicoltura si deve soprattutto ai Savoia: furono loro ad affiancare ai grandi proprietari esperti agronomi che li consigliavano sui metodi migliori di sfruttamento del terreno, delle acque e del microclima.

I lavori di preparazione delle risaie cominciano in primavera: si rivolta il terreno con l’aratro per far affiorare la terra fresca, lo si concima, lo si spiana e lo si allaga con l’acqua, attinta da canali o direttamente dai fiumi. L’acqua serve per difendere i semi e poi i germogli dalle basse temperature notturne. La selezione genetica ha reso le pianticelle più resistenti: le varietà ad alto stelo, per esempio, si piegavano per la pioggia, il vento e il loro stesso peso.

Problemi superati con l’uso di varietà “nane”. In giugno le risaie vengono ripulite dalle erbacce che sottraggono nutrimento al riso: questo compito spettava alle mondine, sostituite oggi da prodotti fitosanitari.

Dopo il raccolto, con le mietitrebbiatrici, il riso deve essere privato dell’umidità: nel passato i chicchi venivano steso sull’aia per due o tre giorni. Moderni macchinari ad aria calda o aspiranti hanno ridotto a poche ore il tempo necessario. L’essiccazione si completa durante la lavorazione: per legge, il riso al consumo non deve avere un tasso di umidità superiore al 15 per cento.

Una macchina chiamata tarara allontana paglia, pietre e semi estranei.

I granelli, rivestiti da diversi strati non commestibili, vengono passati nello sbramino, che, per sfregamento, li spoglia della lolla: si ottiene così il riso semigreggio o integrale.

Un’altra macchina, detta Paddy, separa il riso semigreggio dai chicchi ancora “vestiti”, rimandati allo sbramino. Un setaccio invece allontana la grana verde, ossia i chicchi non maturi e più piccoli, utilizzati per mangimi animali.

La seconda fase di lavorazione, nelle sbiancatrici, serve a migliorare la conservabilità del riso: si tratta di abrasioni che asportano, in tempi successivi, la pula, la gemma e il farinaccio, strati ricchi di grassi che tenderebbero a ossidarsi.

Sofisticate selezionatrici ottiche esaminano i chicchi, scartando con un soffio d’aria quelli macchiati o imperfetti.

Quelli che superano la selezione, vanno a formare il riso che arriva sulle nostre tavole.

 

 

Una pagina dedicata alle mondine

Le terre del riso   di Mariateresa Truncellito

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Risaie del pavese - Foto di Neozzino