LE ORIGINI E LA GRAFICA da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Le origini
Con dialetto pavese si intende l'insieme delle parlate locali della Provincia di Pavia e del suo capoluogo; appartiene al gruppo gallo-italico; è discussa l'appartenenza, in questo ambito, al sottogruppo lombardo occidentale o insubre o a quello emiliano (come propendono i linguisti).
A questo proposito, è bene porre subito in evidenza la distinzione tra il dialetto parlato nella città di Pavia e quello dell'immediato circondario.
Data infatti la già ben nota tendenza dei pavesi cittadini a milanesizzare, ovvero a essere influenzati nel lessico e in certi aspetti morfologici (non però nella fonetica) dal dialetto della vicina metropoli, già per esempio da A. Annovazzi (autore del Nuovo Vocabolario Pavese-Italiano, 1934) si è cercato la parlata originaria piuttosto nella periferia, e in particolare in Borgo Ticino, che nel centro cittadino.
Si scopre in questo modo che, se apparente e superficiale è la somiglianza tra pavese e milanese che induce qualcuno a una impropria aggregazione del dialetto pavese al lombardo occidentale, è invece molto chiara l'appartenenza del dialetto originario di Pavia e del suo circondario alla più vasta compagine linguistica che lo accomuna non soltanto alle parlate dell'adiacente Lomellina, ma anche al Vogherese e più in generale ai dialetti dell'Oltrepò Pavese (salvo la parte più montuosa un tempo sotto Bobbio).
Ancora, bisogna osservare che, da un punto di vista fonetico, e quindi più basilare, la maggiore somiglianza tra il pavese e i maggiori dialetti vicini è senza dubbio con il piacentino, fino al solco del fiume Taro che limita ad est il dominio della ü lombardo-piemontese.
Questo fatto giustifica la singolare (ma in definitiva convincente) aggregazione del pavese al variegato gruppo emiliano-romagnolo, proposta già dal Biondelli nel 1853 (Saggio sui dialetti gallo-italici).
D'altra parte l'ambito fonetico del pavese continua nel Tortonese (dove confina con i dialetti della lingua piemontese che iniziano con il dialetto alessandrino), né si può trascurare la sostanziale continuità tra la parlata della Lomellina e quella del soprastante novarese. In conclusione si può affermare che il pavese si trova ben collocato in una zona di transizione soprattutto in direzione est-ovest, o meglio sudest-nordovest, tra i dialetti emiliani e quelli piemontesi; maggiore discontinuità, soprattutto dal punto di vista fonetico, si ha invece con i dialetti lombardi.
Ad esempio il pavese si distingue in special modo dal milanese per la presenza così caratteristica della a chiusa (á) che risulta sostanzialmente identica alle e debole o indistinta, che sostituisce spesso la è milanese, come nell'articolo determinativo maschile, èl in milanese, ál in pavese (questa caratteristica lo accomuna invece al piacentino).
Verso la montagna oltrepadana il pavese trapassa rapidamente sia nel dialetto bobbiese che nel ligure (la parlata di Varzi, alquanto dissimile anche da quella della vicina Voghera, è l'estremità meridionale del pavese, mentre i dialetti dell'area soprastante sono ormai liguri).
Pertanto il pavese, come il piacentino, occupa un ruolo centrale nell'ambito delle parlate gallo-italiche, confinando con tutti e quattro i gruppi in cui esse si usano dividere. Potrebbe essere considerato l'esempio centrale e più caratteristico dell'intero gruppo gallo-italico, laddove invece, per motivi accidentali dovuti alle suddivisioni politiche e amministrative, sembra relegato in una posizione periferica e ad apparire un ibrido tra le parlate rese più note dall'uso in più importanti aggregazioni urbane.
All'interno dell'ampio territorio pavese ovviamente la parlata non è omogenea: a parte la difformità già notata della più alta zona montana, le differenze interne riguardano non la fonetica (se non in qualche area limitata, vedi per esempio l'assenza della eu sostituita sistematicamenta dalla o chiusa in un'area della pianura tra Broni e il Po), ma piuttosto la morfologia.
Le aree che si possono identificare
non seguono generalmente linee precise, soprattutto non pare avere alcuna
rilevanza a questo riguardo la tradizionale tripartizione della provincia in
Pavese, Lomellina e Oltrepò Pavese, non essendo quasi mai i fiumi che
suddividono queste zone, neppure il Po, dei netti confini linguistici.
Fonologia e grafia
Il dialetto pavese, rispetto all'italiano e anche rispetto ai dialetti vicini,
possiede un maggior numero di suoni vocalici e un minor numero di suoni
consonantici.
Per quanto riguarda le vocali, oltre ai sette suoni vocalici dell'italiano (comprese le forme aperta e chiusa della e e della o), possiede la u chiusa (ü), la o turbata (ö, da taluni scritta eu), in comune con il lombardo e il piemontese, e inoltre la a chiusa (á) che svolge anche la funzione di e indistinta o molto aperta.
Caratteristica del pavese, anche qui in misura anche maggiore rispetto ai dialetti vicini, è l'esistenza di molti di questi suoni solo in posizione tonica, mentre in posizione atona esistono solo la a chiusa, la i, la u, la u chiusa, e solo raramente la e chiusa. In tal modo, se nella flessione o nella derivazione delle parole una vocale tonica diventa atona, decade in una di queste ultime vocali o scompare (fenomeno linguistico detto sincope, molto comune nell'emiliano-romagnolo. In particolare, tutte le o (chiusa, aperta e turbata) decadono in u, la a aperta decade in a chiusa (o meglio in a atona, semichiusa, verso cui converge anche la a chiusa), la e aperta in a chiusa e la e chiusa in i.
Per quanto riguarda le consonanti, rispetto all'italiano il dialetto pavese manca, oltre che delle doppie o geminate, e della z nonché del suono gl come gli altri dialetti gallo-italici, anche del suono sc che è invece presente in milanese (es: signora = sciura in milanese, siura in pavese).
Non esiste una grafia standard per il
dialetto pavese; quella usata dall'Annovazzi nel suo Dizionario Pavese-Italiano
può servire (data la sostanziale omogeneità fonetica di quasi tutta la
Provincia) per scrivere la maggior parte delle parlate locali del territorio
pavese.