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INDICE

 

 

Era un “fast food ante litteram”, ma molto economico per chi non poteva avere che pochi centesimi per fare colazione.

Se ne servivano anche le massaie della zona per rimediare il pranzo in casa. Oltre al merluzzo, friggeva la pescheria minuta del nostro Ticino, e vendeva pure le aringhe affumicate ( i saràch) e le acciughe salate per accompagnare la polenta.

Parecchi anni dopo, per disposizione civica la baracca dovette essere smontata e di conseguenza si fece venditore ambulante di frutta e verdura.

Girava per la città con il suo carrettino stracolmo della frutta o delle verdure di stagione imbonendo la sua merce: bisognava udirlo mentre col suo grosso vocione urlava

“ahi! ahi!”

che non era grido di dolore ma soltanto l'avvertimento che aveva da vendere dell'ottimo aglio (ai in dialetto pavese); “pi pi pi pìsi pìsi pìsi” voleva dire che quel giorno aveva dei bellissimi piselli; “bèj e viv” era il grido che si udiva nella stagione delle ciliegie, belle sicuramente dovevano essere ma per “viv” Giovanni intendeva riferirsi al vermetto che quasi sicuramente contenevano.

L'appellativo "àl màt" da lui conosciuto e ammesso, gli veniva appunto dalle sue innocenti stravaganze e per la sua filosofia di vita inusuale per quei tempi.

Lui, socialista dichiarato da sempre, era tenuto d'occhio dal regime per le sue mattane anche salaci e per la sua abitudine di portare al collo sempre un bel foulard rosso.

segue:  GIUÁN AL MÁT

 

Non ha mai subito violenza per questo, tuttavia nei giorni di vigilia di manifestazioni pubbliche del regime a Pavia, regolarmente veniva un funzionario di polizia a prenderlo a casa per accompagnarlo in questura e trattenerlo fino a manifestazione ultimata.

Giovanni aveva pronta la sua valigeria di cartone con le sue cose e all'invito "Giuàn, andùma?" se ne andava a passare il fine settimana in Questura.

 

Giuàn al màt, era di animo generosissimo, sapeva accattivarsi la simpatia di tutti con il suo vocione e con i suoi richiami infarciti di motti e facezie che creavano simpatia e ilarità.

Ironia del destino: si spense nel 1939, afono completamente, lui che era stato l'ultima voce di una Pavia che fu.

 

.Giovanni Omboni e la moglie Santina

 

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Dalla pubblicazione “Giuàn al màt” di Agostino Faravelli.


 

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