E’ stato uno dei personaggi più amati degli anni 50.
Novello don Bosco ebbe in sorte nell’immediato dopoguerra la guida di una delle parrocchie del rione più povero e disastrato della città.
Il rione di Calcinara era un’etnia fatta di cappotti rivoltati, di scarpe da risuolare, di fiaschi spagliati, di stomaci vuoti e di ragazzi difficili.
Nel suo incarico don Roberto visse il suo impegno sacerdotale in modo sociale ante-litteram, con semplicità, intelligenza,creatività, rara sensibilità umana e grande tratto di nobiltà nelle relazioni interpersonali, soprattutto con i membri del gregge più lontani che andava a cercare con celata nonchalance, ma con ferrea determinazione.
Lo ricordiamo mentre si sfiniva nel suo oratorio improvvisato, nell’organizzare giochi,gare,sfide, e la sua tecnica di conquista di questo gregge impossibile fu sempre vincente.
A sera, don Roberto indolenzito, rauco, madido
di sudore faticava a licenziare quei suoi ragazzi un po’ selvaggi ma ormai
conquistati dal suo carisma.
Pezzo per pezzo, passo dopo passo, divenne un “capobranco”,
ammirato,seguito,cercato.
Si fece ragazzo anch’egli e cercò, parlando la lingua, il dialetto del rione, di sbozzarli, plasmarli, farne degli uomini.
E ci riuscì.
Sorse la Città dei Ragazzi, alveo autogestito di lavoro vero, retribuito, di regole, trasgressioni, processi, censure, catechesi, asilo, mensa, accoglienza a tutti. Nella sua casa, molti giovani impararono i valori del lavoro, dell’onestà,della famiglia.
Riusciva a plasmare gli animi come forse nessun psicologo riuscìrà mai a fare. Riassumendo in due parole la sua persona potremmo definirlo uno dei primissimi preti operai.
Nessun pulpito, nessun predicozzo, nessuna promessa, ma un vero dialogo fatto di responsabilizzazioni mescolato ad un cameratismo puro che piaceva a tutti. Quelli che vennero dopo di lui lo hanno solo copiato.
Lo conobbi quale insegnante di religione alle scuole elementari e ne rimasi affascinato.
Disertavo l’oratorio della Cattedrale per scappare nascostamente al “suo” oratorio. Li trovavo quello che piaceva a tutti i ragazzini decenni: ragazzi rudi, un po’ maneschi,cresciuti sulla strada,svegli,abili nel nuoto, nel remo, nella fuga…ma puliti dentro come pochi. Ebbi una scuola di vita unica, impagabile e indimenticabile.
Un giorno don Roberto "scomparve".
L’incidente gli spezzò la colonna vertebrale a soli 36 anni. Cadde dal sedile passeggero di una Lambretta battendo la schiena su un paracarro.
Un giorno gli dissero: “Reverendo, lei non camminerà più…”.
Venne stroncato nel fisico ma non nello spirito. Visse per anni nella sua carrozzella vedendo passare lento il tempo della maturità, della vecchiaia, vedendo i suoi ragazzini di allora farsi uomini, poi padri, poi grigi. Il tempo per lui si bloccò nel 1956 e ogni incontro, ogni visita,ogni dialogo con i suoi pavesi aveva il sapore di quegli anni. Ci lasciò nell’agosto 2005,serenamente.
Addio don Roberto, ora ti possiamo immaginare seduto in circolo su un misero sgabello in compagnia di don Bosco, di don Gnocchi, di don Orione, di don Boschetti, di don Girom, veri sacerdoti dalla tonaca lisa ma dal cuore grande.
Siete lì insieme a bere un caffè acquoso in un
bicchiere di carta raccontando felici dei giovani che avete “aggiustato”.
Siete in verità la parte più nobile del clero, quella dei giusti,quella che
viene ignorata dal palazzo (è capitato a tutti quelli come voi).
Quella che finalmente dopo duemila anni, aveva capito il messaggio e lo aveva messo in pratica sulla propria pelle.
E con te se ne è andato un altro pezzo della
Pavia vera…
Don
Roberto, felice, tra i suoi “Calcineratt”
In una foto degli anni giovanili.
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