Carlo Allorio nacque a Villata, un piccolo paese della diocesi di Novara e in provincia di Vercelli, il 21 aprile 1891, dal padre Giuseppe e dalla madre Rosa Cancella.
Venne avviato dal parroco di Villata don Francesco Conti al seminario “dei Tommasini” nella Piccola Casa della Divina Provvidenza (i Tommasini erano una delle “Famiglie” in cui era stato suddiviso il Cottolengo di Torino).
Allorio compì gli studi liceali e teologici nella diocesi di Novara.
Fu consacrato sacerdote l’8 aprile 1916 e celebrò la sua prima messa il giorno successivo nella chiesa di S. Barnaba a Villata sull’isola di S. Giulio, dove era stato battezzato 25 anni prima.
Nella chiesa mancavano gli uomini più giovani, impegnati nella Prima Guerra Mondiale, e fu qui che Allorio ebbe il primo contatto con le conseguenze di una guerra sulla comunità.
Poco tempo dopo partì per il fronte come soldato semplice (di sanità) e servì fino all’Armistizio di Compiègne dell’11 novembre 1918.
Nella lettera pastorale per la Quaresima del 1946, intitolata “Povero popolo mio!”, Allorio scrive:
“I reduci, la gente più sfiduciata e umiliata… Ma no, tutt’altro! Nel 1919 dalla guerra noi tornammo alle nostre case fieri di un dovere compiuto. Avevamo potuto conoscere qual tremenda cosa è la guerra, e la si condannava e deprecava come un male orrendo e ingiustificabile. Ma pure sentivamo di aver amato e servito la patria con una somma di sacrifici durati quattro anni, in una forma di vita spesso eroica. Eravamo convinti di aver seguito un ideale: la nostra Patria”.
Una volta terminata la guerra, venne destinato a Trecate come Coadiutore al fianco dell’arciprete Sebastiano Briacca. In seguito divenne parroco della stessa cittadina per dieci anni, dal 1932 al 1942, dimostrandosi sensibile alle persone di questa comunità e affezionandosi ai suoi parrocchiani. Solo durante gli ultimi tre anni, ovvero dal 1939, venne affiancato da un coadiutore, don Mario Rossi.
L’allora vescovo di Pavia, Mons. Giovanni Battista Girardi, morì il 17 aprile 1942 dopo alcuni mesi di sofferenza. La città rimase senza vescovo fino al 4 luglio 1942, quando venne annunciata ufficialmente la nomina di Carlo Allorio a nuovo vescovo di Pavia.
Ricevette la consacrazione episcopale nella parrocchia di Trecate, il 23 agosto, da Mons. Castelli vescovo di Novara.
Fece il suo ingresso in città il 27 settembre, accolto da tutte le autorità pavesi e da alcune di Trecate e di Villata, attraversando con una carrozza il ponte sul Ticino.
Era un giorno di festa, ma Allorio sapeva di dover svolgere un compito molto difficile, poiché la guerra colpiva la società e le famiglie già da un anno e quattro mesi.
Esattamente due anni dopo, nel settembre 1944, quello stesso ponte venne bombardato ripetutamente insieme a una parte del Borgo basso, cancellando per sempre un simbolo storico della città e dando l’ennesima prova della stupidità di una guerra che segnò profondamente l’opera pastorale di Mons. Allorio (il nuovo ponte venne inaugurato e benedetto nel 1951 proprio da Mons. Allorio, alla presenza del Presidente della Repubblica Luigi Einaudi).
Lo stemma scelto dal nuovo vescovo Allorio era un ramo di alloro, che richiama
il suo cognome, in campo d’argento, e come motto un versetto del Salmo 1: “Et
folium eius non defluet” (e le sue foglie non cadranno mai). Successivamente
il motto fu sostituito con “De sole virens”.
Nella sua prima lettera pastorale scrisse:
“... Ma non cercate altro da me. Altri vescovi vi portarono dottrina e
santità. ... Io vi porterò la mia buona volontà, il mio cuore e le mie modeste
energie”.
La comunità, profondamente lacerata dalla guerra, aveva bisogno di una figura, un pastore, in grado di portare aiuto, conforto e calma nei momenti di maggiore tensione. Mons. Allorio indirizzò la sua azione pastorale in questo senso, compiendo alcune azioni fondamentali:
• preghiere con i familiari dei militari impegnati in guerra
• preghiere di suffragio per i caduti
• inviti ai parroci a tenere vivi i rapporti con i loro parrocchiani al fronte
• iniziative di assistenza per sinistrati e sfollati
• sostegno alle famiglie
• celebrazioni per necessità o calamità pubbliche
Nella lettera pastorale per la Quaresima 1944, evidenzia le varie difficoltà sociali legate alla guerra e la intitola “Le ansie di oggi rivissute presso l’urna di S. Agostino”, facendo un paragone tra i problemi che colpivano i cittadini in quegli anni di guerra e i problemi dell’epoca vissuta dal santo dottore della Chiesa. Allorio afferma:
“Ci manca tutto, oggi. Dal campo economico al campo spirituale soprannaturale manca tutto a questa povera umana famiglia”. Tra le famiglie, infatti, mancavano i generi di prima necessità, il necessario per riscaldarsi o addirittura le abitazioni stesse, i figli sottratti alla loro casa per andare a combattere o quelli ormai già caduti in battaglia, i mezzi di comunicazione e le notizie. Ma Mons. Allorio sente di dover dare anche un messaggio di vicinanza e di speranza alla città, spiegando anche che S. Agostino, nonostante il crollo dell’Impero Romano e le incursioni dei barbari, ha mantenuto la speranza e la fede: “Noi siamo i figli e i discepoli di un maestro, di un Capo che ha la luce per tutte le tenebre e la forza per tutte le vittorie”.
Carlo Allorio sostiene i pavesi grazie anche alla sua fede mariana, alla quale era molto legato. Ad esempio, invita le persone spaventate dai bombardamenti a partecipare alle processioni che partivano da S. Maria delle Grazie e al canto mariano “Salve Regina fulgida” viene proposta una nuova strofa con riferimenti a quegli anni di guerra:
Infausta a tutti i popoli
infuria ancor la guerra
ancora sangue e lagrime
inondano la terra;
e le più fosche tenebre
gravan su tanto amor!
O Madre delle Grazie
potente insiem pietosa
t’invocan generosa!
Madre, deh Madre, aiutaci,
è l’ora del tuo cuor!
I vari messaggi che Mons. Allorio inviava ripetutamente ai cittadini e ai fedeli, incluse le Lettere Pastorali, erano pubblicati come “comunicazioni vescovili” nel settimanale “Vita Diocesana”, una rivista mensile ufficiale per gli atti vescovili. Oggi mantengono il valore di documenti storici e restano una fonte importante dell’operato di Carlo Allorio, negli anni della guerra e non solo.
1 - “In nessuna chiesa si deve celebrare la messa di mezzanotte, causa gli oscuramenti e i pericoli degli allarmi”.
(dalla comunicazione su “Vita diocesana” di novembre-dicembre 1942).
2 - “A nessuno manchi la possibilità e la comodità per far bene la sua Pasqua. Anche i piccoli nuclei lontani e dispersi siano curati: siano anzi curati con preferenza di premure, che rendano meno sensibili le difficoltà reali. Si dia in ogni centro la possibilità di avere, almeno una volta, un confessore straordinario; ci si scambi con facilità tra parrocchia e parrocchia. Se in qualche parrocchia manca per sistema la possibilità di un confessore straordinario, in Vicario Foraneo informi il Vescovo, perché provveda”.
(comunicazione da “Vita diocesana” di marzo 1944).
3 - Il turbine della guerra sulla nostra città:
“Purtroppo quello che era de prevedersi e si temeva, è avvenuto: nei giorni 4
e 5 Settembre, in modo speciale, la violenza della guerra si è scatenata sulla
nostra città, colpendo, insieme ai suoi vecchi e nuovi ponti anche la zona
adiacente ai medesimi.
Cinquanta morti, altrettanti feriti e centinaia e centinaia di senza tetto è
il bilancio breve e provvisorio.
Non è soltanto su la città che la raffica di distruzione si è scatenata: anche
i piccoli centri lungo il Ticino e lungo il Po hanno fatto i loro trepidi e
terribili esperimenti e hanno avuto lo stillicidio delle loro vittime, dal
mitragliamento del treno Chignolo - S. Cristina, coi suoi molti morti e
feriti, fino agli ultimi episodi, che ogni giorno si aggiungono ai precedenti”
(comunicazione vescovile settembre 1944,
relativa al bombardamento del ponte e delle zone vicine).
4 -
Il ritorno degli internati in Germania:
“Da una settimana è un affluire fra noi dei militari che dall’infausto 8
settembre erano stati deportati in Germania. All’arrivo di questi poveri
figliuoli (piccola rappresentanza delle molte centinaia che avevano varcato i
confini) è stata una manifestazione commovente di pietà e di carità, da parte
del più svariato pubblico. E tutto questo continua e continuerà, come
continuerà l’arrivo dei reduci capaci di camminare, di camminare a piedi.[…]
Si dia a questa povera gente che ha sofferto tanto e pane e lavoro e carità di
cuore, onde alleviare la loro sofferenza che se è diminuita, pure continua
ancora per la lontananza dai propri cari e la mancanza di loro notizie.[…]
Vi è un posto di ristoro per quelli che passano: vi è un centro di raccolta e
di pernottamento per quelli che non possono proseguire: vi è uno sforzo di
assistenza. I parroci ricordino ai loro fedeli, soprattutto a quelli che hanno
più larghe disponibilità, che si può venire incontro a questi bisogni d’oggi
con ogni forma di aiuto (generi di minestra, condimenti, uova, pane, farina,
indumenti, ecc. ecc.). Dico grazie fin da ora a tutti quelli che già hanno
dato: lo dico in anticipo a quelli che accoglieranno il presente appello”.
(comunicazione del 22 aprile 1945).
Inoltre, nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1945 intervenne in maniera decisiva, con un manifesto appeso per le strade di Pavia, per far sì che i Tedeschi si ritirassero dalla città senza compiere altre azioni di violenza e affinché i cittadini non tentassero rappresaglie o vendette:
“Pavesi, in quest’ora drammatica della nostra vita pubblica rivolgo a voi la parola che il padre sente di dover dire ai figli carissimi...
Ciascuno rimanga tranquillo al suo posto, nessuno pensi a creare imbarazzi pericolosi, ciascuno si sforzi di operare solo per il pubblico bene...
Faccio appello alla educazione civile al senso cristiano di tutto il mio popolo e a tutti chiedo di fare largo al nuovo ordine a di accoglierlo con favore, onde ne venga un bene a tutti e non ne venga il male di nessun innocente.
Sappiate tutti ,sappia ognuno, nella città e nelle campagne, mantenersi e dominarsi con questa diritta e salda coscienza, contro ogni tentazione suggerita da sentimenti, da rancori, da odio.
Già troppo odiammo e soffrimmo!
Non imitiamo quelli che ci hanno fatto soffrire; non imitiamo quelli che ci
hanno ucciso; non imitiamo quelli che hanno rubato; non imitiamo quelli che
hanno abusato del potere; non imitiamo quelli che furono senza coscienza”.
(Appello pubblicato da “Vita diocesana” del 28 aprile 1945)
Il pomeriggio del 30 aprile 1945, temendo azioni di violenza e vendetta,
chiese al nuovo Commissario della Provincia di Pavia, maggiore americano
Wendell Phillips di intervenire impedendo le manifestazioni alla vigilia del
1° maggio.
La sera stessa pregò anche il Comitato di Liberazione riunito in Prefettura in seduta straordinaria per scongiurare tali azioni.
Tuttavia, nonostante le rassicurazioni date a Mons. Allorio, nella notte vennero uccisi quattro uomini in piazza Italia e quattro lungo il muro del Cimitero di Pavia.
Mons. Carlo Allorio morì il 9 dicembre 1969, proprio nel giorno di San Siro.
FONTI:
• Don Luigi Ferrari, “Ma sono padre”, Personal Stampa, 2008.
• Angelo Comini e Nicolas Sacchi, “Ricordo di Mons. C. Allorio a 40 anni dalla
morte”
• Sac. Paolo Marabelli, “Gli stemmi dei Vescovi pavesi”, 1990, E.M.I. Editrice
in Pavia.
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Vescovo Carlo Allorio
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