“Fin che avrò giorni da vivere, voglio coniugare il verbo amare. Se non si fa un atto d’amore, l’amore resta solo un’astrazione. Amare è un’attività produttiva che implica occuparsi dell’altro, conoscere, rispondere, guardare all’altro uomo per quello che è, con tutta la sua difficoltà che pone gli altri uomini, accettandolo malato, pazzo, ignorante, diverso e, volendo, caricandoselo sulle spalle così com’è.”
Queste erano le parole pronunciate da Giovanni Pallavicini in occasione di un’intervista di qualche tempo fa e realizzata in occasione della presentazione di uno dei suoi numerosi e stupendi libri.
In effetti il significato di quanto detto sta nel fatto che ogni profitto derivante dalla pubblicazione delle sue opere letterarie, Pallavicini lo devolve a fini di volontariato, soprattutto a quello rivolto ai bambini bisognosi, a quelle piccole creature che richiedono un sostegno alla loro umana e accettabile sopravvivenza.
Così Giovanni Pallavicini ha voluto meglio chiarire la sua scelta di vita, il significato del suo “fare un atto d’amore”.
"Quasi sempre quando faccio nuove conoscenze mi sento rivolgere questa domanda:
- ma come mai tutta questa attività nel mondo del Volontariato?
Perché dedica così tanto tempo della sua vita ad aiutare gli altri?
Deve avere degli interessi particolari, deve avere un animo…deve sentire…deve provare…ecc. ecc.-
Chissà perché le persone pensano che chi fa volontariato è una persona diversa, speciale, un altruista, deve avere un animo gentile, deve magari avere a disposizione una modesta somma di denaro per intervenire in certi casi più bisognosi.
Sempre rispondo che io non sono questo tipo.
Ho conosciuto il volontariato quando dopo circa sei mesi di pensionamento, quando cioè non avendo più nulla di interessante con cui passare le mie giornate sentivo giorno dopo giorno la mia testa che si svuotava di ogni pensiero e desiderio, e il mio carattere dare segni poco simpatici. Ero arrivato al punto di rasentare l’entrata in una clinica per curarmi il sistema nevoso.
Fu il volontariato a salvarmi. Fu il volontariato a darmi nuovi stimoli perché le mie giornate terminassero a sera con alcune soddisfazioni personali. A farmi incontrare tante altre persone con problemi diversi dai miei e che mi facevano di nuovo riflettere per pensare insieme diverse soluzioni. Persone che senza nulla chiedere ti dicono quanto grande è il loro bisogno.
Per questo non smetterò mai, ovviamente finche mi sarà possibile, di fare il volontario."
Questo è, molto brevemente, Giovanni Pallavicini,
Pavese degli anni trenta, che nello spirito e nell’entusiasmo della vita
quotidiana è da considerare nella piena maturità di una giovinezza letteraria.
Ci Ha lasciato il 15 Dicembre 2011.
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