Artigiani senza sede fissa

LE LAVANDAIE                                                                       Da cagi46 su note di A. Annovazzi e F. Biancoli

Pavia e dintorni - Artigiani e Mestieri senza sede fissa

 

 

 

 

 

Le lavandaie del Ticino, quelle gagliarde e veraci, nate vicino al lavatoio della mamma costituivano una generazione che si tramandava il mestiere da madre in figlia.

Altre lavandaie vi erano a Pavia, quelle del Naviglio e quelle che lavavano sulla riva dei fossi o entro canali artificiali appositamente costruiti o entro vasche, ma il loro sistema di lavoro era ben diverso da quello delle borghigiane.

Queste lavoravano stando in piedi con le gambe immerse nel fiume se d'estate, oppure d’inverno coi piedi appoggiati su uno sgabello a forma di cassa aperta da un lato, con una sponda alta sul davanti ed un posto per il sapone, il tutto sistemato alla meglio sopra delle pietre sul pendio della riva stessa.

Gli indumenti da lavare venivano disposti sopra una tavola inclinata appoggiata a sua volta, mediante quattro sostegni, sulla riva scoscesa del fiume.

D'inverno le lavandaie di professione si portavano sulla riva un fornello portatile del tutto uguale a quello dei caldarrostai con una caldaietta sempre piena di acqua calda: ciò serviva per riscaldare ogni tanto le mani e per tener caldi i capi di biancheria fine affinchè si pulissero meglio e perché non gelassero durante il lavoro.

Estate e inverno queste artigiane portavano la “caplina”, enorme cappello di paglia col quale si riparavano dai raggi del sole, dalla nebbia, dalla pioggia, dalla neve e dal freddo, e quando la temperatura rigidissima lo esigeva, sotto il cappellone avvolgevano la testa ed una parte del volto con un “fasulèt ad lana”.

Queste erano le simpatiche lavandaie del nostro Borgo, veloci di mano ma altrettanto di lingua se occorreva rispondere a qualche frase poco gradita. Ragazze diventate donne nel lavoro pesante e non certo salutare, ma donne temprate nel corpo e nello spirito e soprattutto orgogliose di essere borghigiane.

Nel nostro mondo di lavatrici automatiche e di acque inquinate l'immagine che segue sembra veramente assurda.

Il Ticino canta sotto i trespoli con voce morbida e guarda il cielo con occhi limpidi e puliti.

Le lavandaie erano personaggi pavesissimi, saldamente innestati nel panorama fluviale. Il largo cappello, che le difendeva dalla pioggia come dal riverbero del sole, le maniche e le vesti rimboccate, i trespoli allineati e montagne di fagotti tra secchi e bracieri: l'immagine di una fatica che spezza la schiena.

Grandi sacchi di biancheria, fasci di legna accatastati; mani che danzano sui trespoli di ghiaccio. Immagine rabbrividente per chi è abituato al tepore delle case moderne.

Le piccole stufe, "i fugòn", accese sono isole di tepore nel paesaggio polare.

Si può lavare in un Ticino così? Eppure la fatica e la povertà non ammettono soste.

Tanti anni sono passati: nella luce dell'arcata non compare il ponte della Libertà e si distingue chiaramente la circonvallazione esterna al baluardo di Porta Calcinara. La guerra era ancora lontana
 

 

 

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Foto di aryvanille