VENDITORI DI GHIACCIO Tratto da: AVIS 2005 e note cagi46
Gli anziani di oggi non erano ancora nati, quando Pavia affrontò il problema di dove recuperare il ghiaccio.
Sembrava assurdo, una fatica improduttiva "fabbricare il ghiaccio", quando la natura aveva sempre pensato a questa necessità. Quel detto, allora in voga: "Viva la machina dal giass artificial" era ispirato ironicamente al fatale liquefarsi immediato del prodotto, un lavoro ritenuto inutile o per lo meno superfluo, perché non durevole: il significato era esteso ad analoghe vicende della vita quotidiana ed alle prospettive politiche e amministrative di quel tempo.
Invece l'iniziativa privata non si fece attendere e scattò ai primi anni del secolo scorso. Si costituì una Società Anonima che, nel maggio del 1902, era già in grado di produrre i "pani" di ghiaccio, iniziando col mese di luglio una intensa e regolare fornitura.
La fabbrica trovò sede in Via Palestro, che nel suo lato occidentale prospettava il bastione che dal baluardo Brollo - oggi Piazza Dante Alighieri - raggiungeva quello di Porta Borgoratto o Porta Cavour, oggi piazzale della Minerva. (dove oggi c'è il Centro commerciale e la sede Regione)
Si valeva di una materia prima che, per tradizione popolare, era considerata acqua limpida e fresca: l'acqua del "Cup".
Antica, modesta sorgente che scaturiva sotto il bastione, sorretta da una tegola ("cup") rovesciato, una rarità pavese gratuita e con vasta clientela di pazienti o ipotetici malati per le sue decantate virtù terapeutiche.
Quest'acqua veniva filtrata attraverso strati di ghiaia e di carbone,
passata ai recipienti metallici ed alla vasca di congelamento, dove operava
l'apparato frigorifero.
I "pani" di ghiaccio pesavano 25 chilogrammi, con una produzione nelle 24
ore di 130 quintali. Il prezzo di vendita: da 3 a 5 centesimi il chilo.
Il "giasirò" fu pure un utile e intelligente "apparecchio domestico",perché non solo portò il ghiaccio a portata di tutti, ma abolì la famigerata "muscaróla", specie di gabbia a ripiani, difesa da fine rete metallica, dove si custodivano i cibi e che si teneva appesa in cantina.
Forse il salame stava meglio in camera da letto, normalmente non riscaldata, "tacà sϋ e in d'un sachet ad carta".
Immagine del vecchio "giasirò".
Occorreva prestare la massima puntualità nello svuotamento del "tiret cun dentar l'aqua", che se non svuotato per tempo, tracimava sul pavimento.
E am ricordi mè padar,
che quand'a sucediva,
in dialet disiva:
la culpa l'è ad to madar!
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