I Palazzi di Pavia

PALAZZO BROLETTO                                                        Tratto da:  guida di Pavia F. Fagnani
 

Pavia e dintorni - Palazzi di Pavia

PAVIA - PIAZZA DELLA VITTORIA

E' il più antico broletto di Lombardia, e sorge sull'area occupata un tempo dalla sede dei vescovi di Pavia, eretta nel sec. VIII dal vescovo S. Damiano.

L'attuale pianta quadrilatera, con un grande cortile al centro, ricalca appunto l'impianto della « domus episcopia », di cui scorgiamo una traccia verso la piazza in quella finestrella a bifora che risale forse al sec. XI.

Nel 1162 l'imperatore Federico Barbarossa, dopo la distruzione di Milano, fu ospitato a Pavia, « in Curia Episcopi Papiensis, ubì Papienses faciunt concionem ».

Nel grande cortile del palazzo vescovile si adunava dunque il Comune pavese, ospite del vescovo. Ma nel 1186 il Comune già si riunita « in palatio maiori », che corrisponde all'ala di levante, ove sotto il portico attuale vediamo gli avanzi di un più antico porticato impostato su chiotti pilastri cilindrici.

L'ala di mezzogiorno fu ricostruita nel 1198, e fu chiamata « palatium novum ». Anche qui scorgiamo poderosi pilastri cilindrici raccordati da grandi archi incurvati, oggi purtroppo chiusi.

Al piano superiore si notano grandi trifore in cotto, oggi in gran parte nascoste dalla rinascimentale loggetta dei Notai (1539). Una preziosa lapide del 1198, oggi conservata nel Museo Civico, ci tramanda i nomi dei consoli che fecero costruire l'opera e dell'architetto che diresse i lavori: Bogia de Gargano.

Nel 1236 il vescovo Rodobaldo Cipolla vendette al Comune anche la rimanente parte del palazzo vescovile, corrispondente all'ala di settentrione, verso la piazza.

Questa parte dell'edificio fu radicalmente trasformata mediante l'apertura di un portico a giorno al piano terreno e di ampie finestre centinate ai piani superiori. Nello stesso tempo, a levante della nuova facciata fu costruito i! palazzo del Podestà, con finestre adorne di conci in arenaria alternati al mattone.

La loggetta rinascimentale addossata alla facciata è della fine del Quattrocento, mentre di poco più tardo è lo scalone che immette nella sala maggiore, adorna di una stupenda decorazione affrescata.

Il cortile attuale presenta un porticato terreno e una loggetta al piano superiore, addossati nel sec. XV al preesistente porticato romanico.

L'edificio ospitò il Comune sino al 1875, quando la sede comunale fu trasferita nel palazzo Mezzabarba.

 

 

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ISTITUZIONI STORICHE

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Link risorsa:http://www.lombardiabeniculturali.it/

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Data: Aprile 2011

Inviato da: GianCarlo Mainardi

La “Colonna Infame”

del Broletto di Pavia.

 

Ne parla Don Paolo Marabelli a pag. 4 di CAMMINANDO PER PAVIA e si riferisce alla colonna cilindrica in granito, presente nel porticato verso la piazza della Vittoria:

"…Spesso alle colonne di granito verso la piazza, a pian terreno, venivano legati nudi i debitori con facoltà ai creditori di fustigarli. Da questo fatto è nato un famoso detto pavese, tramandato sino ai giorni nostri e che noi per deferenza non citiamo…"

Rispettando il senso pudico di Don Paolo Marabelli, riportiamo, noi, il famoso detto...:

 

" l’è restà cun föra i ciapp…"

 

 

La stessa cosa la troviamo nella Bari medioevale: " La Colonna della Giustizia "

La Colonna della Giustizia sorge accanto al Palazzo del Sedile, sulla parte sinistra di Piazza Mercantile. Chiamata dai Baresi "colonna infame", era in realtà la struttura cui venivano incatenati ed esposti al pubblico ludibrio i debitori insolventi, i bancarottieri e i falliti: era, insomma, la gogna cittadina.

Secondo alcuni studiosi, la colonna sarebbe stata eretta verso la metà del Cinquecento, per volontà del viceré spagnolo Pietro di Toledo, che emanò un decreto per rendere meno dura la pena della berlina.
Il manufatto è costituito da una colonna di marmo bianco, sormontata da una sfera, e da un leone di pietra, di proporzioni naturali, che le sta accovacciato alla base. Esso porta sul petto un collare con incisa la scritta Custos Iusticiae, ossia custode della giustizia. Pare che i condannati fossero messi a cavallo di quest'animale, col sedere scoperto e le mani incatenate alla colonna.