L’attuale Seminario Vescovile di Pavia nasconde una millenaria storia. Secondo la tradizione Re Cuniperto, dopo aver sedotto la giovane “romana” Teodote, la fece rinchiudere nell’antico monastero che prese poi il suo nome divenendone la Badessa.
Il Monastero ospitava una cappella (od oratorio) intitolata a San Michele, l'angelo guerriero particolarmente venerato dai Longobardi.
La denominazione “alla Pusterla” compare solo dopo l’XI secolo e trarrebbe origine da una Porta minore delle mura cittadine esistente presso il monastero.
Nella primavera del 1970 furono eseguiti scavi archeologici che portarono alla luce i resti di una struttura a tre absidi, collegata al monastero di S. Maria Teodote.
L’ipotesi che il ritrovamento potesse essere identificato con il precedente oratorio di S. Michele, citato in una donazione di Lotario del 839, fu sostenuta dalla sua posizione in relazione all’antico percorso delle mura cittadine dell'epoca.
La chiesa doveva originariamente svilupparsi su una larghezza interna di 7 metri circa per una lunghezza stimabile tra i 17 e i 21 metri, strutturata come un’aula unica triabsidata con semplice copertura a tetto.
Le strutture murarie che sono emerse dallo scavo consistevano nei resti dell’abside centrale, dell’abside minore di sinistra e delle arcature cieche del fianco settentrionale della chiesa, che si è conservato per una lunghezza di circa 11 metri.
Inoltre, durante lavori di restauro nel chiostro quattrocentesco del Seminario, condotti nel 1969, era stata individuata una torre probabilmente utilizzata come campanile dell’oratorio di S. Michele alla Pusterla.
Planimetricamente, per quanto è stato possibile rilevare dallo scavo, la torre-campanile, alta 10 metri, dovrebbe avere una base quadrangolare di 4,5 metri.
Della struttura più antica della torre-campanile, successivamente inglobata in un corpo di fabbrica più recente, è sopravvissuta una decorazione a tre croci incorniciate da altrettanti archi ciechi a doppio spiovente.
Al di sotto della croce centrale si è anche conservata una sottile apertura a feritoia con strombo appena accennato verso l'interno.
La decorazione a croci laterizie, tipica dell’architettura altomedievale pavese, parrebbe avere labili confronti con motivi analoghi di sarcofaghi ravennati di fine VIII secolo.
Queste incertezze relative all’apparato decorativo rendono difficilmente precisabile anche la cronologia dell’intera torre, che viene genericamente collocata in un arco temporale compreso tra l’VIII secolo e la fine del X.
Vediamo a destra i rilievi planimetrici dell'attuale Seminario Diocesano con evidenziati in rosso i ritrovamenti del 1970 e in giallo le tracce della torre-campanile. (disegno dell'Architetto Alberto Arecchi) ►
◄ mentre a sinistra l'attuale vista dell'alto del Seminario Diocesano con la traccia della posizione dell'oratorio di San Michele, area oggi considerata il cortiletto interno.
Nell'immagine sovrastante dei rilievi planimetrici dell'attuale Seminario Diocesano, in verde è indicata la posizione dello stupendo oratorio di San Salvatore, del quale mostriamo:
◄ a destra una immagine dell'interno, con cupolette coperte come le pareti, di affreschi di Bernardino de' Rossi.
A sinistra l'accesso nel porticato del lato orientale del Chiostro ►
Come gli altri antichi monasteri pavesi, quello di Teodote ebbe grande prosperità nell'epoca in cui Pavia fu capitale e ricevette ampie donazioni e privilegi, anche da parte di numerosi Re e Imperatori da Lotario I° fino a Federico I°.
Possedeva terre a Borgo San Donnino, a Villanova d'Ardenghi e soprattutto a Zenevredo, nell'Oltrepo Pavese, dove univa alla proprietà fondiaria dell'intero territorio la signoria feudale, che durarono entrambe dal Medioevo fino alla fine del XVIII secolo. Il paese stesso era detto perciò "Zenevredo della Pusterla".
Nel 1778 vi dimoravano ben quarantatre monache ma nel 1798, come gli altri grandi monasteri della città, fu soppresso dalle istituzioni della Repubblica Cisalpina e i suoi beni incamerati dal regime Napoleonico.
Premesso che alla morte di Teodote il suo corpo fu sicuramente deposto nell'oratorio di San Michele, in una cassa sepolcrale arricchita di preziosi plutei marmorei, gli scavi del 1970 permisero di portare alla luce interessanti particolari architettonici della vecchia chiesa di San Michele, tuttavia le stupende opere del sarcofago di Teodote non furono trovate in quanto precedentemente tolte dall'oratorio di San Michele molto prima della sua demolizione avvenuta nel 1867 e trasferite all'interno del monastero.
Nel 1791 vennero murate dal canonico Giuseppe Bertolasio a sinistra della Porta Civile, in pratica l’accesso al monastero riservata ai civili e, soppresso il Monastero nel 1789 passarono al sig. Gaetano Vitali, questi nel 1832 le vendette al Marchese Luigi Malaspina che dopo averle temporaneamente utilizzate per magnificare il suo palazzo, nel 1896 furono donate ai Musei Civici cittadini.
Le lastre sono in marmo cipollino della val di Susa, e ambedue sono incomplete avendo, la prima, la fascia di contorno, nel lato verticale a sinistra, tagliata, e la seconda, ambedue i bordi laterali tagliati.
Vediamo ora nel dettaglio i due plutei longobardi, parti del “sarcofago di Teodote” di cui ne avrebbero costituito l'artistica decorazione.
Uno dei due plutei è decorato con una coppia di pavoni contrapposti che si dissetano ad una coppa con eleganti anse sormontata da una croce.
Un altro elemento cruciforme gigliato fa da elemento riempitivo alle spalle del pavone di destra. La scena, caratterizzata da un accentuato contrasto chiaroscurale, è inscritta in una cornice composta da due tralci vegetali intrecciati che creano cerchi racchiudenti rosette, grappoli d’uva, foglie e uccelli.
Una medesima soluzione decorativa racchiude anche la scena dell’altro pluteo, decorato con due leoni alati dalle code di drago posti a guardia dell’Albero della Vita.
Due delfini riempiono la scena negli angoli inferiori. In questo caso la decorazione è resa in maniera più appiattita e dovuta a una geometrica stilizzazione compositiva.
Una ulteriore e significativo ritrovamento legato alla morte della Badessa Teodote è l'epigrafe in sua memoria, con il testo originale, purtroppo incompleto, che doveva svilupparsi su due colonne incorniciato da un motivo a fuseruole.
La lapide, di marmo cipollino della Val di Susa, è mutila della parte destra ed è già stato ampiamente dimostrato come quest’epigrafe non è assolutamente pertinente a un sarcofago, ma è una testimonianza del comune costume longobardo di collocare un epitaffio a terra o in una parete nei pressi della sepoltura del defunto.
La cattiva conservazione dell’epigrafe di Teodote, la cui datazione oscilla tra il 735 e il 750 d.C., è anche dovuta al fatto che venne riutilizzata nel XVII secolo come pezzo di una soglia. Attualmente è presso i Musei Civici cittadini.
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L'ORATORIO DI SAN MICHELE ALLA PUSTERLA